bimba albina riccia con occhiali

Disabilità visiva, come affrontarla se non veniamo capiti

A me non piace la parte finale di questo titolo, te lo dico, perché non è nella mia indole piangermi addosso per la mia condizione di albina, ma mi sono sentita in dovere di scrivere in questo modo perché so che là fuori molte persone si sentono così, sole e incomprese.

Ho deciso di scrivere questo articolo su come gestire la disabilità visiva nel rapporto con gli altri dopo diverse riflessioni e a seguito di due eventi: uno è il Disability Day di Torino svoltosi ad aprile e in secondo luogo per qualche commento sotto ad un mio video Tiktok dove parlavo di come noi ipovedenti quando entriamo in un negozio spesso sentiamo solo una voce che ci saluta senza vedere effettivamente la persona (commesso o commessa) e spesso senza capire nemmeno da che direzione proviene. Ovviamente man mano che ci addentriamo nello store e ci avviciniamo vediamo poi anche la persona.

Il fenomeno del Disability Pride

A Torino si è svolta il 20 aprile la seconda edizione del Disability Day, ma a Giugno si è svolta l’edizione milanese. Questo per dire che di marce in centro con tanto di palco, ospiti, testimonianze, saluti istituzionali, presenza di associazioni e discorsi ce ne sono diverse ed in tutta Italia negli ultimi anni.

Per me era la prima volta che partecipavo ad un evento di questo genere e devo dire che mi ha fatto piacere conoscere diverse realtà e persone, tra cui un ragazzo albino venuto da Milano, anche lui content creator.

A parte questo, cioè il venire in contatto con nuove persone e associazioni, ho spesso notato in queste situazioni (e qui mi riferisco anche a articoli e post online) un atteggiamento vittimistico ed esibizionistico portato un po’ all’estremo. Non è una critica all’evento in sé ma al fenomeno in generale.
Vedo molti creator sui social piangersi addosso, cercare il like facile puntando su ciò che non si può fare anziché su ciò che si sa fare. Mi perdonerete la licenza ma al momento riesco solo a definire così questo fenomeno, e cioè come una gara a chi ce l’ha più storto!

Ogni disabilità è un mondo a parte e vanno rispettate tutte le caratteristiche di essa. Nonostante io abbia avuto difficoltà nel mio percorso di accettazione e nonostante venissi dalla cultura del  “Ma sì, puoi fare tutto!” credo che ogni tanto le persone adulte con albinismo e i genitori di bambini albini che si sentono sempre incompresi dal mondo e vittime di un destino crudele dovrebbero farselo un giro ad uno di questi eventi. Questo farebbe capire loro che l’albinismo NON è una condanna ed è una condizione vivibile con le giuste precauzioni.

Al di là della questione visiva per cui poco si può fare se non utilizzare gli occhiali o lentine a contatto e gli ausili visivi a disposizione come app, video ingranditori, screen reader ecc, l’atteggiamento mentale gioca un ruolo fondamentale nella nostra crescita, perché se tu certe parole le ripeti quotidianamente anche solo per gioco, poi finisci per crederci per davvero e per insegnarle a tuo figlio e insegnerai alle altre persone come trattarti.

Purtroppo a volte si assiste ai due estremi tipici:
1. “Non ho niente, non sono disabile, posso fare tutto”
2. “Sono sfigato, non combinerò mai nulla, nessuno capisce le mie difficoltà”

La verità è che nessuno di questi due atteggiamenti è quello corretto perché non corrispondono a realtà.

So perfettamente che questo fenomeno è figlio di un cambiamento in atto ancora troppo acerbo per essere esaminato nel dettaglio.

Per anni e secoli le persone con disabilità non sono state considerate degne di partecipare all’attività sociale, scolastica e lavorative ma sempre di più stiamo andando verso una situazione migliore, quindi comprendo che il rumore mediatico è per dire “Noi esistiamo, ci sono ancora passi da gigante che dobbiamo fare prima di ottenere i diritti che ci spettano e vogliamo far sentire la nostra voce”, però condanno  l’atteggiamento vittimistico di alcune persone perché non è sano e non fa altro che portarci indietro.

Sono convinta che sia possibile combattere per una società più giusta ed inclusiva anche senza farne un lamento rabbioso, senza scavalcare chi ha delle mancanze più gravi delle nostre e senza fingere inventando difficoltà che non ci sono.

Io personalmente penso che ci voglia piena consapevolezza di sé per scegliere di vivere e dedicare tempo e risorse al mondo della disabilità. Mi spiego, a mio avviso il frequentare solo associazioni di disabili, persone disabili, parlare tutto il giorno di ingiustizie e disabilità e arrabbiarsi se le persone non ci vengono incontro, sia molto pericoloso e limitante per la vita di una persona con disabilità, ma anche per un suo eventuale caregiver (un genitore che se ne prende cura ad esempio). Il rischio è che questo aspetto diventi il 100% di noi e che ci assorba completamente, che la disabilità sia la sola caratteristica a definirci e, soprattutto nel caso dell’albinismo, non è proprio il caso.

Disabilità e parole – tra forma e contenuto

Oltre al vittimismo reiterato, un’altra cosa che proprio non digerisco è l’attaccarsi alle parole. Fermi, è normale che ognuno di noi abbia delle definizioni che gli aggradano di più rispetto ad altre, magari “persona con disabilità” suona più carino di “handicappato”, ma perché? Non sono le parole ad essere offensive e discriminati ma il significato che diamo ad esse, fino ai primi anni 2000 era normalissimo riferirsi ad una persona con disabilità etichettandola come handicappata perché così si esprimeva la stessa e famosa legge 104 del 1992.

Nel tempo, però, a causa di una ancora troppo scarsa considerazione del tema da parte di tutto il mondo politico e istituzionale e di conseguenza sanitario e scolastico, il termine assunse una connotazione negativa e di disprezzo, una parola offensiva, un insulto che i bulletti del quartiere riferivano ad una povera vittima affetta da qualche menomazione.
Dal 2009 per la prima volta si parla di persone con disabilità e non di persone con handicap nei testi normativi della legge n. 18.

Oggi sono i disabili stessi, molto più consapevoli di sé e del ruolo sociale che ricoprono, a decidere come definirsi, ognuno sceglie la sua parola, alternandola ad altre a seconda delle situazioni, ma quello che voglio dire è che al di là delle definizioni è sempre il significato che diamo al linguaggio a fare la differenza. Se una mamma non ha accettato la condizione del figlio servirà a poco che usi parole soft.

Autoironia nella disabilità visiva sì, ma non troppa

Quante volte ho sentito dire da un albino “Eh, scusa, sono ciecato!”, e credo di averlo detto anche io qualche volta per levarmi dall’imbarazzo in una situazione pubblica in cui le persone erano sorprese che non riuscissi a terminare con fluidità un lavoro e non avevo voglia di spiegare tutto quanto.

È divertente vedere come ognuno di noi si districa tra le vicissitudini della vita quotidiana, io amo l’ironia e anche l’autoironia perché sono segno di intelligenza e consapevolezza di sé, a patto che non siano maledettamente forzate e finte.

A proposito di disabilità, nel mio canale Youtube ho iniziato una serie di incontri con persone con disabilità di vario genere che hanno una storia interessante da raccontare e che può essere di stimolo a tutti. Il mese scorso abbiamo parlato di DSA e disturbi dell’apprendimento.

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Mi chiamo Roberta e sono nata con albinismo oculo-cutaneo. Oggi parlo ai genitori, agli educatori, ai medici e a tutta la popolazione perchè vorrei un mondo consapevole, preparato e accogliente.

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