Devo ammettere che a distanza di due settimane quando ci penso sono davvero fiera di me per questo viaggio che ho fatto da sola, che poi il problema non è tanto l’albinismo, cioè un po’ sì perchè se non ci vedi bene qualche limite nell’orientarti ce l’hai ma è più che altro l’abitudine, l’abitudine è tutto. Che tu sia albino o no, se una cosa la fai un milione di volte diventa tua. Punto. Non c’è storia.
Ci sono persone che hanno problemi nel ricordare le strade, i luoghi ecc e questo non dipende certo solo dalla vista ma da una predisposizione personale (c’è chi fa bene le frittelle di mele e chi si sa orientare, poi ci sono quelli fortunati che sanno fare entrambe le cose) oltre che dall’esperienza e dall’abitudine come dicevo prima.
Insomma io, albina e ipovedente, con nistagmo, fotofobia e abituata ad essere scarrozzata qua e là mi trovo a Malaga da sola per una settimana. Avrei potuto stancarmi dopo tre giorni e voler tornare a casa come una bimba nostalgica e invece no, è andata così bene che non volevo più tornare alla vita “normale”.
L’arte del chiedere
Domandare è lecito, rispondere è cortesia, dice un detto ed è prorpio così, avrò preso da mio papà che ancora nel 2022 si ostina a non utilizzare il navigatore ma piuttosto una forma di tecnologia ancora più sofisticata, la parola. Quando qualcosa non mi quadra, ma anche quando mi quadra, io chiedo sempre, anche una volta in più.
Molte persone provano imbarazzo a chiedere, come se il fatto che ci siano mezzi evoluti della tecnologia ad aiutarci ci abbia resi automaticamente privi di parola e contatto umano, io invece credo che, oltre che utile, parlare con le persone possa aggiungere dei dettagli e dei punti di vista unici e arricchenti che lo schermo di un telefono non ti può dare, con tutti i pro e i contro ovvio, che però preferisco affrontare.
“È giusta la direzione verso il Parque…?”, anche se maps me l’aveva già detto, oppure “Questo treno va in centro, vero?”. Non c’è niente di male nel chiedere per sentirsi più sicuri e non perdere altro tempo.
Preparati a spendere qualche euro in più
Prima di partire avevo in mente tante cose, sentimenti contrastanti e tre obiettivi:
1 non perdermi
2 rilassarmi
3 divertirmi
Oltre a questi tre obiettivi, direi pienemante raggiunti, avevo in mente che dovevo imparare a cavarmela nella situazione più difficile, ossia trovare la strada a piedi o con il bus, dove poi scendi alla fermata in mezzo al nulla e devi farti un pezzo a piedi, non con il taxi che costituisce la scorciatoia e soprattutto mi ero anche messa in testa che oltre a sfidarmi dovevo anche badare alle spese, cioè dovevo soffrire in pratica, fare la cosa più difficile nella situazione più difficile, una vacanza zaino in spalla come le ultime a cui ero abituata con l’aggiunta però della remota possibilità di aggrapparmi all’aiutino nel caso in cui ne avessi sentito la necessità. E così è stato, per ben 4 volte ho usufruito del servizio taxi di Malaga, tra l’altro super economico rispetto alla mia Torino e ho cercato di non sentirmi perdente nel momento in cui ne richiedevo l’aiuto.
La prima volta sì, avrei potuto evitarlo, ma era per tornare dalla spiaggia, il mio istinto aveva preso una deviazione rispetto alla strada fatta all’andata e non sapevo più dove mi trovavo, il mio telefono stava esaurendo la batteria e la powerbank era anche lei da ricaricare quindi non volevo ritrovarmi per strada senza maps e la possibilità di chiamare un taxi, così ne ho preso uno al volo. Prezzo: 3,80€.
La seconda e la terza volta sono state l’andata ed il ritorno fuori Malaga, alla Playa del Penon del Cuervo dove avevo letto che un gruppo di ragazzi italiani organizzava una festa. Sono stata indecisa se andare o meno perché non ero molto in forma e lì c’era una mezza possibilità di arrivarci con due bus, ma facendo caldo ho optato per il taxi anche per l’andata. Sul ritorno stenderei un lunghissimo e spessissimo velo pietoso in quanto la playa ovviamente si trovava in mezzo al nulla, nessun chiringuito e nessuna casa che facesse da riferimento, inoltre lì era già cominciato il mio calvario da febbricitante per cui il taxi era il mezzo più rapido, se non l’unico, che mi potesse portare all’unica cosa che volevo quella sera, un letto ed un antipiretico. L’ultima volta l’ho preso invece per recarmi in ospedale.
In ogni caso, oltre al volo un po’ più costoso ma nemmeno più di tanto, ho scelto anche una casa che fosse in centro e comoda a tutto, io odio le zone tranquille ed isolate, in questa vacanza volevo casino e comodità, scendere da casa e avere tutto lì a portata di mano e per avere questo bisogna essere pronti a spendere un pochino di più.
Ammalarsi in vacanza, all’estero, da sola
Beh, abbiamo detto che volevo affrontare situazioni dure e che mi mettessero alla prova no? Cosa c’è di meglio che prendersi la tonsillite in vacanza e avere bisogno di un antibiotico, che analogamente che in Italia, può essere assunto solo se prescritto da un medico. E chi ce l’ha il medico in Spagna, ma soprattutto dove lo trovo? Provo, vado in farmacia e il farmacista mi propone antipiretici, anti infiammatori per la gola ecc ma io ho necessità di un antibiotico o perlomeno, questo è quello che le mie tonsille trasformate in mongolfiere dicono. Allora lui mi dice di andare all’ospedale, purtroppo non mi dice quale ospedale per cui gli chiedo il più vicino e decido di andare lì. Secondo voi l’uomo e la donna all’ingresso parlavano inglese? Ovviamente no, per cui mi impegno e sfoggio il mio spagnolo base da un anno e mezzo di corso, di cui un anno ai corsi serali all’università della terza età “Soy estranjera, estoy aquì de vacaciones y tengo mal a ….e” indico la gola con la mano, così si illuminano con un “Emergencia?” mentre io penso “Beh, non sto proprio morendo ma sto abbastanza male quindi “Sì, emegencia”, che poi è il pronto soccorso, così mi dicono che devo andare in un altro ospedale perchè loro visitano solo i prenotati e stavolta ci vado in autobus.
Arrivo finalmente all’altro ospedale, anche lì non mi capiscono ma la parola emergencia gli accende sempre una lampadina e mi dicono che è l’altro padiglione e che devo uscire fuori, ovviamente chiedo ad altre due persone anche una volta fuori dal padiglione, uno è un giovane medico che parla inglese. Non posso dire altrettanto della receptionist a cui decido di fare leggere tutto da google translator così non ci sono dubbi, mi dà un modulo da compilare (consiglio: annotate da qualche parte il numero della carta di identità per non dover ingrandire con il telefono, stessa cosa per data rilascio e data scadenza che sono scritti piccoli oppure imparate tutto a memoria), in ogni caso il modulo era breve e scriitto abbastanza grande.
Alla fine dopo un paio di passaggi e una quindicina di minuti di attesa o poco più mi chiamano col mio numero e sento pronunciare perfettamente il mio nome (cioè Roberta, e non RRRoverta come mi chiamano sempre gli spagnoli) infatti finisco nello studio con un medico che parlava italiano in quanto suo marito è italiano. Bene, mi visita, mi fa qualche domanda e alle 13.30 avevo il mio antibiotico ritirato in farmacia.
Su questo aneddoto non so se consigliarvi direttamente di portarvi un antibiotico o di chiedere dell’emergencia o ancora augurarvi di incontrare un medico che parli italiano. Forse in realtà vi auguro di non averne mai bisogno.
La fortuna aiuta gli audaci
Il fatto che il primo incontro internazionale del venerdì fosse al Grand Cafè è stata una vera fortuna per me, primo perché ho cominciato ad usarlo come punto di riferimento per tornare a casa o per dire alla gente dove abitavo e secondo perché essendo davvero a 250m da casa mia mi ha spronato ad andare a questi incontri e a prenderci gusto. Se fossimo partiti da un locale più lontano la prima sera non so se sarei andata ai successivi, forse sì ma forse no. Per il resto però non mi sono più fermata e ho fatto serate che non erano nemmeno in programma tipo quella con le ragazze al parco, serata di condivisione sulle fasi lunari, in quel caso la fortuna è stata non prendere il bus di ritorno la sera (il parco era dall’altra parte della città) ma farmela a piedi con una ragazza italiana conosciuta lì.
Un’altra fortuna è stata decisamente il trovare un taxi ad ogni angolo della città e a qualsiasi ora del giorno e della notte, non come a Torino che devi chiamarlo tu.
Il minimo indispensabile
Come dicevo uno dei piani di questa vacanza era da una parte avere tutto programmato in modo da avere la situazione sotto controllo e dall’altra non avere piani cioè non forzare nulla, lo so sembra contradditorio, però ho deciso di vedere in una settimana solo Malaga, fossi stata con i miei amici penso che Malaga l’avremmo vista in due giorni per poi proseguire per un mega tour dell’Andalusia e invece no, non volevo questo, io così Malaga non l’ho vista, l’ho proprio vissuta.
Avevo quindi deciso di non complicarmi la vita e di non allontanarmi troppo, di decidere tutto al momento senza fare programmi con manie di grandezza e fu così che mi sono lasciata l’acquolina in bocca per mete come Ronda e Nerja dove vorrò sicuramente andare se tornerò a Malaga e che distano due ore e un’ora e mezza da Malaga. L’unico pueblo che ho visto al di fuori di Malaga è stato Torremolinos, assieme alla mia nuova amica Federica, una ragazza che ho conosciuto su facebook mantenendo i contatti con lei da aprile, quando si trasferì da Catania in cerca di fortuna e di una nuova vita. Anche parlare con lei mi ha aiutato tantissimo, raccontarle le mie giornate, mentre ero lì e mentre lei era temporaneamente tornata in Sicilia ma soprattutto parlarle prima di partire, ammirare il suo coraggio e la sua organizzazione.
All’aeroporto: un viaggio a prova di ipovedente
Questa l’ho lasciata per ultima perché so che è la domanda più assillante nelle menti di chi pensa ad una persona ipovedente in un grande aeroporto da sola. Io se mi metto a pensare all’aeroporto di Amsterdam, Barcellona, Londra, Madrid in cui sono stata ma non da sola, mi viene il capogiro, perchè me li ricordo enormi e confusionari, ma, si sa, il ricordo è percezione, non realtà.
Beh, lo sapete che le persone con disabilità possono richiedere assistenza in aeroporto? C’era quindi questa possibilità, ma io non ne ho usufruito né all’andata né al ritorno.
All’andata è stato semplice, Torino ha un aeroporto piccolo e che conosco bene, mi sentivo così tranquilla che sono arrivata al pelo (non è da prendere ad esempio).
Il ritorno mi preoccupava già di più, infatti ho prenotato il posto a sedere e fatto il check in anticipato (quello che ora è a pagamento con Ryanair) così da non doverlo fare dalla Spagna, magari con il telefono e il rischio di non vedere niente. Credo di aver pagato circa 7€ per il check in anticipato. A parte questo non ho voluto pensare al viaggio di ritorno finché non mi sono trovata lì. La mattina di venerdì 17 (non sono per nulla superstiziosa) ho ripreso il treno che avevo preso il giorno dell’arrivo e sono scesa alla fermata Aeroporto (Proxima parada: Aeropuerto). Esco dal treno, faccio pochi metri e mo’, dove vado? Decido di seguire un uomo dai tratti orientali che vedevo vagava come me e gli chiedo dove sono i le partenze, poi insieme capiamo che sono al piano di sopra e saliamo, poi cerchiamo i controlli di sicurezza, che tra parentesi a me era già sembrato di vedere all’inizio, il famoso serpentello di gente, solo che lui doveva ancora fare check in e imbarcare la valigia se non ho capito male, così l’ho salutato e augurato buon viaggio verso Parigi e mi sono messa in coda.
Ai controlli mi hanno fatto aprire valigia e zaino e poi fatto proseguire. Ora dovevo solo aspettare il numero del gate che compare sui tabelloni e trovare il gate. Sono stata a fissare il tabellone per più di un’ora mentre mangiavo un bocadillo, c’era scritto che sarebbe stato disponibile dalle 12.10 e così è stato (il tabellone era in basso, ad altezza quasi occhi e scritto abbastanza grande, ma se così non fosse stato avrei controllato sull’app di Ryanair). Beh, di lì ho semplicemente seguito le frecce, il mio gate era D69 mi sembra. Prima c’è una freccia che ti indica la D e poi quella che ti fa trovare il numero. Lo trovo e comincio a sentire gente parlare italiano. Ad un certo punto mi si avvicina una donna che mi chiede in spagnolo se non era ancora aperto il gate, le dico di no ma io sono qui da 10 minuti solo, poi mi viene il dubbio, guardo l’app e vedo che avevano cambiato il gate…al D64, così parto e vado in cerca anche di questo gate, che puntualmente cambiano dopo altri 5 minuti.
Alla fine sono salita e ho viaggiato serenamente.
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