ragazza albina bendata

Giornata internazionale delle persone con disabilità

Lunedì 3 Dicembre è stata la Giornata internazionale delle persone con disabilità ed il canale Ability Channel mi ha dedicato un’intervista nella quale racconto le principali problematiche dell’albinismo ed il motivo per cui le persone albine rientrano a tutti gli effetti nella categoria dei disabili, nonostante li si veda camminare autonomamente per strada e nonostante alla fine sembrino semplicemente dei biondi un po’ più biondi.

Giornata della disabilità: perché gli albini ne fanno parte

L’albinismo è oggi classificata come una malattia genetica rara ed il fatto che le persone albine abbiano una straordinaria capacità di adattamento e di autonomia a dispetto di un visus scarsissimo e di una conformazione oculare atipica non deve trarre in inganno.

Conosco albini, e sono io stessa una di quelle, che si fanno venire gli occhi rossi ed il mal di testa per quanto sono ostinati in quello che fanno. Conosco una donna albina che ha un negozio di ricami e no, non è la commessa, è la titolare nonché creatrice degli accessori, conosco un elettricista che lavora con i cavi sui tetti, conosco studenti di giurisprudenza e ricercatori universitari che passano le notti al computer e sui libri. Siamo caparbi, ambiziosi e nessuno ci deve dire quello che dobbiamo fare.

Ma, c’è un Ma, i limiti visivi degli albini sono importanti, l’ipovisione medio-grave e la fatica che ne deriva sono la causa principale della disabilità degli albini, seguita dalla delicatezza della pelle, che, trovandosi carente di melanina, è soggetta all’insorgenza di neoplasie.

Sono disabile e non mi vergogno

Io sono cresciuta in un mondo ed in un modo tutto mio, lontana anni luce dalla consapevolezza con cui i genitori di oggi crescono i loro bimbi albini, lontana dalle ore di gioco con i terapisti e senza un’insegnante di sostegno. Non sapevo di essere albina, l’ho raccontato spesso, o meglio lo sapevo e non lo sapevo, nessuno in famiglia mi aveva spiegato il significato di quella parola che sentivo solo negli studi medici in mezzo al silenzioso imbarazzo che seguiva.

Ne deriva che il mio percorso è stato diverso, né migliore e né peggiore di quello degli altri, semplicemente diverso. Per certi versi più libero da impegni e costrizioni, selvaggio e spontaneo, convinta di poter fare tutto ed essere tutto, la mia fantasia ha viaggiato per mari e monti permettendomi di guadagnare fiducia e stima nelle mie capacità, di non sentirmi limitata in alcune azioni ma libera di provare e buttarmi nella giungla. Ma il mondo è appunto una giungla e quando ti mentono sulla tua identità non puoi che cadere fortemente quando ti scontri con la dura realtà.
La dura realtà per me è stata scoprire di non essere invincibile, di non poter fare tutto quello che volevo, forse nemmeno la metà delle cose, ma soprattutto quella parola: DISABILE.
Perché disabile? Disabili non sono quelli che stanno sulla carrozzina? Oppure quelli che parlano biascicando, e quelli che urlano e parlano per strada da soli? Queste le domande che devono aver attraversato la mia mente nel momento dell’apertura dei miei occhi ed un’ondata di sudore deve aver attraversato tutto il mio corpo.  No, no cara Roby, i disabili non sono solo quelli. Anche tu sei disabile.

Accettazione della disabilità: il punto di partenza verso la rinascita

Un amico in questi giorni mi ha detto: “Non voglio andare a quella cena, vorrei solo che la smettessero di prendermi in giro” ed io gli ho risposto che non può continuare a scappare, e che noi non possiamo decidere cosa fanno o dicono gli altri, ma solo come è meglio reagire a ciò che fanno e dicono.
Penso che questa sia la cosa più difficile da fare, perchè non basta rispondere, no, lo so bene che non basta perchè quando hai finito di rispondere e te ne torni a casa rimani con quel senso di vuoto mista rabbia, quindi a cosa è valsa la risposta intelligente? A niente. La cosa più intelligente che si possa fare è rispondere a se stessi.

Il mio processo di accettazione non è stato dall’oggi al domani, non so nemmeno quando sia partito esattamente e non so se sia effettivamente giunto a destinazione o c’è ancora qualcosa che posso fare. Non ho di quelle storie da servizio TV da raccontare. E non ho una persona che mi ha salvato la vita, sono stata io, io da sola, seduta per terra con la mia rabbia e la mia insoddisfazione tra le mani.

Ora che ci penso sono partita dal NO alle persone, dal cominciare a non ridere forzatamente alle battute degli altri verso di me, e quindi ho detto NO alla loro arroganza ed impertinenza. Ed è lì che ho cominciato a rispondere, rispondevo male ma rispondevo.
Poi sono passata al dire NO a me stessa, No alla penetrazione della mia intimità, no al concedere spazio a commenti senza valore e No al senso di colpa.
Infatti il passo successivo è stato capire da sola che non ho colpa per essere nata albina e non devo scusarmi col mondo per non essere come gli altri.

Il terzo passo è stato fare un passo indietro, prendermi cura del mio corpo, ascoltarlo anche nel suo dolore e smetterla di tirare la corda fino a stancarmi, rispettare la mia stanchezza cronica e ridere di essa.

Il mio primo verbale di invalidità l’ho ottenuto a 18 anni, un foglio pasticciato e confuso e che non ho effettivamente mai letto nel dettaglio ma che conservo ancora, con mia mamma che cercava di spiegarmi che era per il mio bene ed io che lo vedevo come la sanzione di una condanna e mi rifiutavo di pensarmi disabile. E lei che mi diceva” A volte le persone bionde hanno dei problemi di vista” ed io che sprofondavo nel baratro.

Dopo i 20 anni facevo i primi tentativi di apertura con gli altri “Sono albina – dicevo”, come i fumatori che vogliono smettere, otto volte dici No, ma due ci caschi di nuovo, proprio quando pensavi di essere guarita.

E poi è stato un crescendo, parole casuali sentite quà e là, parole di individui centrati e sicuri di sè, la scoperta delle modelle albine e della mia bellezza esteriore ed interiore, l’arte del distacco, il constatare che questo esercizio funzionava, l’idea di un libro ironico e strafottente che non ha mai preso piede, fino a TikTok ed il blog.
Ed eccomi qui, con la mia storia arzigogolata ma vera.

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Nero su Bianco

Mi chiamo Roberta e sono nata con albinismo oculo-cutaneo. Oggi parlo ai genitori, agli educatori, ai medici e a tutta la popolazione perchè vorrei un mondo consapevole, preparato e accogliente.

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